Politica e scienza

gennaio 30, 2020

Politica e scienza

Quando la parola passa ai "cazzari".

Domenico Condito

È naturale che la politica possa e debba riflettere sulla scienza e sul suo ruolo nella società. La questione è che dovrebbe farlo con cognizione di causa. Il presupposto fondamentale, intanto, è sapere cos’è la scienza. In epoca moderna, la scienza s’identifica con lo strumento che utilizza il “metodo sperimentale” per indagare la realtà. Quello stesso strumento che, rifiutando il “principio d’autorità” in relazione alla conoscenza, ha reso possibile un progresso nella comprensione del mondo come non s’era mai visto nella storia della nostra specie, apportando miglioramenti impensabili anche alla tecnologia, alle istituzioni politiche, ai valori morali, all’arte e in ogni aspetto del benessere dell’uomo.

E sia beninteso, per conoscere almeno i fondamentali del “metodo scientifico” non è necessario essere uno scienziato. Basterebbe, in alcuni casi, aver fatto una buona scuola superiore. Ma è estremamente difficile parlare di scienza se non si conosce almeno la differenza fra una variabile dipendente e una indipendente; se non si possiede la benché minima idea su cosa sia un piano sperimentale e su come si costruisce, su quale sia la differenza fra un’ipotesi sperimentale e un’ipotesi nulla, e su cosa voglia dire falsificare o corroborare un’ipotesi.

E non mi aspetto che un politico, per parlare e legiferare in materia di scienza, sappia calcolare correttamente la covarianza, ma che comprenda almeno il significato dell’indice di probabilità (p), elemento essenziale quest’ultimo per poter leggere un vero articolo scientifico. Altrimenti si finisce, per esempio, a voler dettar legge in materia di vaccini, senza conoscere magari la differenza fra un virus e un batterio (provate a domandarlo ai no-vax di vostra conoscenza); e le due cose non sono proprio assimilabili, come non lo sono gli scienziati e i "cazzari".