Stalettì - Il ninfeo greco-romano in località Chillino

La cronaca rigorosa della segnalazione di un sito archeologico di straordinario interesse, abbandonato da trent'anni dal Ministero della Cultura, dalla Soprintendenza calabrese e dagli studiosi di professione.

Domenico Condito

Alcuni dei reperti recuperati a Chillino dal gruppo Condito-Froio-Piane il 26/08/1991

Alla fine degli anni ’80, si costituì a Stalettì (Catanzaro) un gruppo di studio con l’obiettivo di indagare e censire le risorse storiche e archeologiche del territorio, quest’ultime individuate attraverso perlustrazioni di superfice. Il gruppo era composto dall’ingegnere Antonio Froio, da Sergio Piane, all’epoca laureando in Topografia Antica all’Università di Pisa, e dal sottoscritto, Domenico Condito, da poco nominato Assessore alla Cultura e ai Beni Culturali del Comune di Stalettì. Insieme realizzammo ricognizioni a tappeto sul territorio stalettese, con l’obiettivo di individuare persistenze storico-archeologiche non ancora segnalate o indagate dagli studiosi.
Nel 1991, “una parte” consistente del nostro lavoro confluì nell’analisi storico-territoriale del comprensorio di Stalettì, affidata dal Comune alla prof.ssa Emilia Zinzi e finalizzata alla redazione del nuovo PRG (fummo noi ad accompagnare la prof.ssa Zinzi alla scoperta delle unità rupestri di origine monastica disseminate nel comprensorio comunale). A quel tempo, il nostro “trio” aveva già perlustrato un complesso e articolato sistema di cunicoli che attraversa il territorio a monte del “Castrum bizantino” di Santa Maria del Mare, per raggiungere il sito dell’antico insediamento, e poi convogliare il ventre del monte Moscius verso il mare. E di queste ricognizioni sotterranee esiste una documentazione fotografica ancora inedita, con alcuni cunicoli che sembrerebbero risalire all’epoca classica. 
 
Alcune delle grotte del ninfeo greco-romano di Chillino
 
Il 26 agosto del 1991, si verificò l’evento più avvincente e inatteso, quando Antonio, Sergio ed io fummo catapultati improvvisamente in un sito archeologico risalente al V secolo a. C., grazie al coinvolgimento di un nostro concittadino, il signor Fernando Callegari. Fernando aveva invitato il nostro gruppo di studio (Condito, Froio, Piane) a visitare il fondo di sua proprietà denominato “Chillino”, situato a sud-est del centro abitato di Stalettì, perché a detta dello stesso risultava d'interesse archeologico. Giunti sul posto, ci mostrava materiale ceramico affiorato in superfice durante i lavori di sbancamento effettuati per realizzare una vasca destinata all’ittiocoltura. Capimmo immediatamente che si trattava di materiale di alto interesse archeologico, e tra i frammenti di ceramica a vernice nera, databili alcuni al V secolo a. C., notammo frammenti di terrecotte architettoniche, puntali d’anfore, frammenti di lucerne a disco, figurine fittili e una notevole antefissa a palmette. Il terreno appariva ricco di frammenti ceramici sparsi un po’ su tutta l’area, ed erano riconoscibili strutture murarie realizzate in grossi blocchi, mentre nelle pareti rocciose del sito potevamo osservare la presenza di grotte e cunicoli scavati nelle stesse pareti. Il signor Callegari ci permise di recuperare i reperti affioranti, ormai a rischio di dispersione, e subito dopo segnalammo la scoperta del sito alla dott.ssa Elena Lattanzi, all’epoca Soprintendente per i beni archeologici della Calabria. Nel verbale di segnalazione, oltre a riportare l’elenco dettagliato dei reperti recuperati, avanzammo l’ipotesi che il sito potesse riferirsi a una necropoli o a un’area cultuale, probabilmente un ninfeo, di età greco-romana. La segnalazione fu inviata via fax e i reperti furono momentaneamente depositati e messi in sicurezza nel palazzo municipale di Stalettì. Era il tardo pomeriggio di quel 26 agosto del '91. Due giorni dopo, il 28 agosto, la Soprintendenza archeologica inviò l’archeologa Agnese Racheli per un primo sopralluogo ufficiale. Era accompagnata dal funzionario Espedito Macrì, che prese in consegna i reperti per la Soprintendenza archeologica, depositandoli subito dopo al Parco Archeologico della Roccelletta.
 
Il sopralluogo della Soprintendenza archeologica a Chillino il 28 agosto 1991

Ecco quanto annotò la dott.ssa Agnese Racheli sul sopralluogo in località “Chillino” (o “Canalicchio”):

“L’area esaminata è situata sulle pendici sottostanti un pianoro, in parte coltivato a uliveto ed in parte a seminativo, in cui ad una sommaria ricognizione sono evidenti vaste aree di frr. fittili. Il sito si colloca su una terrazza che si affaccia sul torrente Vulcano; il piano è stato approfondito in epoca recente per la realizzazione di un laghetto artificiale. Il complesso è caratterizzato dalla presenza di abbondante acqua sorgiva e si articola a NO in una serie di grotticelle (attualmente ne sono visibili tre) ricavate nella parete rocciosa inferiormente tagliata; le grotticelle sono in parte delimitate da muri di blocchi (cm 50x42x42), alcuni dei quali asportati in epoca recente. A Est la parete rocciosa appare tagliata verticalmente in antico; più ad Est si notano una canaletta dal profilo semicircolare, ricavata nella roccia stessa, con pendenza NO-SE, e seminascosti tra la fitta vegetazione, una serie di muri obliqui in blocchi di grandi dimensioni (cm 140x50) e di gradini ricavati nella roccia viva. Nella stessa parete è visibile un cunicolo che è stato riempito (a detta del proprietario in epoca recente) con materiale anforario e laterizi di età classica ed ellenistica. Una stratigrafia in cui si notano soprattutto frr. di embrici è riconoscibile nella parte soprastante. È difficile stabilire la quota di frequentazione antica del complesso; essa non sembra essere di molto inferiore a quella ottenuta con lo sbancamento moderno, che ha senz’altro asportato gli strati di distruzione e di abbandono. Dall’area provengono frr. di statuine fittili votive (offerenti, “tanagrine”, satiri), di ceramica che dal V sec. a.C. giunge fino al I sec. d. C. (lucerna a volute tipo Bailey A) ed una notevole antefissa a palmette. Le caratteristiche morfologiche del complesso inducono all’identificazione con un santuario delle Ninfe connesso alla sorgente e forse ad un culto di Afrodite, come è documentato a Locri e sulle pendici dell’Acropoli di Atene, in siti aventi tutti un’analoga conformazione geografica (Cfr. P.E. Arias, Scavi archeologici in contrada Caruso-Polisà (aprile-maggio 1940), in Notizie degli Scavi di Antichità, 1946, pp. 138-161).”
 
La notevole antefissa a palmette recuperata a Chillino

Dopo l’entusiasmo iniziale suscitato dalla straordinaria importanza della scoperta, il sito è stato abbandonato sia dalla Soprintendenza che dagli studiosi di professione. L’unico provvedimento adottato fu quello del vincolo archeologico dell’area, che però non è stata sottoposta alle ricognizioni necessarie per recensire tutte le emergenze. Così come non è stato impostato uno scavo stratigrafico estensivo mirato, per chiarire le varie fasi di evoluzione del complesso. Allo stesso tempo, l’area non è stata acquisita al patrimonio pubblico, e pertanto non è fruibile. Tutto questo ha penalizzato molto la Comunità, ma anche la famiglia Callegari, proprietaria del fondo, che in ragione del vincolo archeologico, e delle conseguenti prescrizioni, non ha potuto usufruire della proprietà come avrebbe voluto, senza riceverne un adeguato risarcimento. Nel frattempo, le emergenze archeologiche hanno subito un grave deterioramento, e noi tutti abbiamo perso l’occasione di riscoprire una delle pagine di storia più sorprendenti di tutto il comprensorio che fu della Skilletion greca e poi della Scolacium romana.

Commenti