Gregorio Pepe (Squillace, 1740 – Squillace, 1824)

Padre dei patrioti Guglielmo e Florestano. Secondo una fonte anonima, attorno al 1785, fu tra i fondatori della loggia massonica di Squillace, con sede a Palazzo Pepe, nata su iniziativa dei fratelli Gregorio e Saverio Aracri di Stalettì. Un breve profilo tracciato da Ruggiero di Castiglione (2013), in “La Massoneria delle Due Sicilie e i «Fratelli» meridionali del ’700”, vol. IV, Roma, Gangemi Editore, pp. 322-23.

“Il gentiluomo Gregorio Pepe, figlio di Giovanni Battista e di Rosa Soriano, nacque, nel 1740, a Squillace, in Calabria Ulteriore (Ultra). La sua famiglia era originaria di Messina e vantava nobili ascendenti. Ricco possidente terriero, sposò, il 21 maggio 1761, Irene Assanti, dalla quale ebbe ben ventidue figli (quindici uomini e sette donne). I più noti sono il primogenito Stefano, un cavaliere gerosolimitano dotato di vasta cultura, Giovanni Battista, Ferdinando, Florestano e Guglielmo, tutti valorosi uomini d’arme. Malgrado avesse subito, durante i devastamenti sismici che si susseguirono dal 5 febbraio al 29 marzo 1783, gravissimi danni alle sue proprietà, mantenne sempre un elevato status di vita. Riservò, alla numerosa prole, un’ottima educazione, dapprima a Catanzaro e poi a Napoli, presso i migliori collegi e i più bravi docenti. Guglielmo, nelle pagine delle sue famose Memorie, presenta un garbato profilo del padre: “il mio buon genitore era un modello degli antichi padri di famiglia; avea co’ pregiudizi de’ nobili residenti in provincia, i modi schietti e la franchezza degli uomini di un’altra età, pieno di austera ed incorrotta probità. Studiavasi di essere economico senza offendere però mai la decenza, poiché in tutti gli usi del vivere civile e per bene educare i suoi figliuoli spendeva profusamente. E’ largì copiosi soccorsi a tre di essi, or tratti in prigione, or cacciati in esilio, a cagion delle loro opinioni liberali, quantunque egli fosse affezionato al governo de’ Borboni. Culto, ma non sempre filosofo, benché abbastanza ricco, dolevasi spesso di aver perduto alcune terre e più recentemente un feudo, né mai ristava dal ripetere con certa alterigia il suo patriziato… Accorgendosi essere io male istruito nelle nostre cose domestiche, mi costrinse a leggere alcune cronache, le quali accennavano il vigore dai nostri antenati adoperato con varia fortuna nelle guerre di parte che succedettero al Vespro Siciliano. Cosiffatti pregiudizi non toglievano che le più belle massime di morale fossero nella sua bocca né indebolivano la sua inclinazione a fare elemosina”. 

Con profondo affetto paterno attivò, infatti, tutti i propri mezzi, familiari e finanziari, per tutelare la salvezza dei figli: spedì, più volte, il figlio Stefano a Napoli e a Palermo, per cautelarne l’incolumità, avvalendosi, per ogni necessità economica, dell’intervento di noti banchieri, come Falconnet di Napoli e Venuti di Trapani. Non si sottrasse, infine, dall’inviare accorati appelli a Ferdinando IV di Borbone e ai rappresentanti del governo per alleviare il peso delle condanne da scontare nelle peggiori carceri del regno. Folle di dolore per le vicissitudini del giovanissimo Guglielmo, avrebbe, tra l’altro, esclamato: «Vendete tutte le mie sostanze, vendete me stesso, e salvate mio figlio» (Memorie). 

Secondo una fonte anonima, fu tra i fondatori, nella seconda metà degli anni ’80, della loggia di Squillace. Malgrado rivestisse, dal 1801, l’alto incarico di sindaco dei Nobili di Squillace, il suo palazzo nobiliare subì le attenzioni della soldatesca borbonica: circa trecento albanesi, nel 1802, irruppero per perquisirla militarmente alla ricerca di compromettenti documenti. Questo storico edificio (oggi sede del municipio di Squillace) ebbe illustri ospiti: dal generale francese Jean Louis Reynier, comte de l’Empire, al generale inglese sir John Stuart, conte di Maida, fino a Giuseppe Bonaparte, re di Napoli. Quest’ultimo avrebbe, nella sua qualità di Grand Maître del Grand Orient de France, presieduto, il 20 aprile 1806, ad una «tornata» della loggia di Squillace, riunitasi in un’ala di palazzo Pepe. Gregorio ricopriva, infatti, la dignità di Maestro Venerabile e il luogo dei travagli era la propria abitazione, come attesterebbe un simbolo libero-muratorio scolpito su un gradino che portava al Tempio (ora coperto da una lastra di marmo). Gregorio morì il 5 agosto 1824. Sopravvisse a ben undici figli, compreso il primogenito”.

                                                                                                               Ruggiero di Castiglione

Palazzo appartenuto alla famiglia Pepe.
Oggi è la sede del Municipio di Squillace.


 

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