Padre Raimondo Romano da Stalettì

Padre domenicano calabrese del '600, fu Maestro dei Novizi dell’Ordine dei Predicatori nel convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma. Dedicò opere a Stalettì, Squillace e Catanzaro.

di Domenico Condito

Chiostro del complesso di Santa Maria sopra Minerva
Oggi a Roma, apertura straordinaria del complesso domenicano di Santa Maria sopra Minerva, di solito non accessibile al pubblico. Sarà possibile visitare il Chiostro del convento interamente affrescato, la Sala dei Papi e parte della meravigliosa Biblioteca storica, ricca di testi antichi. A partire dal 1300, il complesso della Minerva fu una delle istituzioni religiose più importanti della città, tanto da essere sede dei conclavi che elessero i papi Eugenio IV e Nicolo V.

Nella seconda metà del ‘600, il convento di Santa Maria sopra Minerva accolse padre Raimondo Romano, originario di Stalettì, centro ionico calabrese che si affaccia sul Golfo di Squillace. In questo convento, nel 1662, il Romano ricoprì l’incarico di Maestro dei Novizi dell’Ordine dei Predicatori, meglio conosciuto appunto come Ordine Domenicano, e aveva già pubblicato un Compendio dell’orazione mentale. In seguito, rientrato in Calabria, si stabilì nel Convento dei Padri Domenicani di Catanzaro, del quale scrisse la storia. L’opera, Chronicon monasterii Dominicanorum Catacii, fu ultimata nel 1682, ma non fu mai pubblicata. Il manoscritto fu conservato nella biblioteca del Convento.

Religioso erudito, si dedicò anche alla promozione del culto dei Santi della sua terra d’origine. Nel 1680 pubblicò la Vita di Sant’Agazio, Protettore della città e diocesi di Squillace.

La sua ultima fatica la dedicò al Santo Patrono di Stalettì, il suo paese natio: Compendio ristretto della Vita, Virtù e Miracoli del glorioso San Gregorio Taumaturgo Vescovo, e Confessore, Avvocato de’ Casi più ardui, e disperati. E della miracolosa venuta del suo sacro Corpo dall’Armenia in Calabria Superiore nella Terra di Stalattì, dove riposa e si venera con somma Divozione, come singolar Protettore di detta Terra, questo il titolo del volume.
L’opera su San Gregorio Taumaturgo, nota al Chevalier, venne completata prima dell’8 gennaio 1684, l’anno del suo imprimatur. L’edizione originale di Paci, Napoli, del 1684, pare sia andata del tutto perduta, mentre si conserva ancora l’edizione di Francesco Ricciardi del 1728. L’esortazione per la concessione del titolo di facoltà da parte del Magister Ordinis, Padre Antonio de Monroy, è firmata da Padre Giuseppe Squillace, rettore del Convento del Santo Rosario di Reggio Calabria, dove il Romano si era evidentemente trasferito.

L’opera su San Gregorio Taumaturgo si divide in due parti: nella prima, il Romano traccia la biografia del Santo, ripresa in gran parte dal Panegirico di San Gregorio di Nissa e completata con altre fonti (Antonio da Firenze, Vincenzo Beluacense, Baronio, Bellarmino); nella seconda, riferisce dell’approdo “miracoloso” delle reliquie di San Gregorio Taumaturgo nella Terra di Stalettì e dei miracoli attribuiti al Santo Protettore di quel luogo. Di estremo interesse, inoltre, le cronache relative a importanti avvenimenti della sua terra nativa. In particolare, il Romano, con un resoconto molto simile a un reportage giornalistico dei nostri giorni, descrive con grande dovizia di particolari le incursioni barbaresche a Stalettì del 1595, 1644 e 1645, ma anche le circostanze drammatiche che portarono all’introduzione del culto di San Gregorio Taumaturgo a Borgia (Catanzaro). Non mancano, inoltre, riferimenti al terremoto del 1624, alla peste del 1656, e alla rivoluzione che scoppiò nel Regno di Napoli nel 1647, toccando prima Palermo. Di grande interesse storico e antropologico la descrizione degli esorcismi che si praticavano a Stalettì nella chiesa di San Gregorio Taumaturgo con l’impiego delle reliquie del Santo. L’opera del Romano sul Taumaturgo non manca, però, di sollevare questioni controverse, che rendono necessaria un’attenta rivisitazione critica di alcune parti del testo. Mi riferisco, in particolare, al racconto della traslazione delle reliquie del Santo in Calabria nella città di Colonna, che, secondo il nostro Autore, avrebbe preceduto la fondazione di Stalettì, sorta successivamente su un sito in altura poco distante. In realtà, la città di Colonna sembrerebbe ubicata più nel mondo delle creazioni immaginifiche di qualche erudito rinascimentale, che non in quello delle realtà storicamente fondate. Le ricerche archeologiche condotte dall’École Française de Rome e da Chiara Raimondo sull’area dove, secondo il Romano, sarebbe sorta la città di Colonna, hanno portato invece alla luce i resti del castrum quod Scillacium dicitur, sorto nell’ambito territoriale dell’impianto monastico cenobitico ed eremitico, Vivariense sive Castellense, fondato da Cassiodoro nel VI secolo.



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