Il babelismo di certa teologia contemporanea

Il cosiddetto "principio di realtà", ovvero il primato del reale sull'ideale, dell'esperienza sulla Scrittura, è l'origine di ogni forma di relativismo.

Domenico Condito

Quando si teorizza la Verità come opinabile, tutte le opinioni rivendicano la parvenza di Verità. È le “nouveau babélisme” di certa teologia contemporanea di area cattolica.
Il magistero della Chiesa ha definito la teologia morale come «la scienza procedente dalla divina Rivelazione che ordina gli atti umani alla beatitudine soprannaturale», in relazione, cioè, al fine ultimo ed eterno dell’uomo che è la comunione con Dio. Al contrario, alcuni teologi contemporanei pretendono di reinterpretare la Rivelazione per riformulare la teologia morale a uso e consumo degli orientamenti del “mondo”, destinato prima o poi a finire. “Dimenticano”, cioè, che la missione della Chiesa non è di assecondare il mondo, ma di ricapitolare ogni cosa in Cristo.

E provate a leggere questi teologi della postmodernità, dove la prospettiva cristocentrica sparisce, in nome di una “sistematica giuridica” che parte dai “diritti dei soggetti” a essere riconosciuti per il “bene” che loro sono in grado di vivere, o che loro stessi reputano tale. Questo tipo di teologia morale non punta a elevare l’uomo verso un bene ideale da raggiungere, ma teorizza limiti e fragilità della condizione umana come il bene possibile. È la logica del cosiddetto "principio di realtà", o del primato del reale sull’ideale, dell'esperienza sulla Scrittura, l'origine di ogni forma di relativismo. Ne scaturisce una legge morale costruita sulla persona, o meglio sul “diritto soggettivo”, e non ispirata dai contenuti della Rivelazione, che è la comunicazione all’uomo dell’eterno disegno di Dio. È il modello culturale dominante che pretende di riscrivere l’eterna legge di Dio, e non il contrario. Questo radicale capovolgimento di prospettiva, così diffuso nella teologia contemporanea, è una novità assoluta del nostro tempo. Si tratta di una teologia rasoterra, orizzontale, appiattita sull’uomo e non ispirata da Dio. Ma l'Apostolo ci ammonisce: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, perché è bene che il cuore venga rinsaldato dalla grazia, non da cibi che non hanno mai recato giovamento a coloro che ne usarono” (Ebrei 13, 8-9).

Qual è la ragione principale di questa deriva teologica e spirituale?
Nei teologi postmoderni è assente lo spirito contemplativo.

Nel 2006, in una omelia pronunciata nel giorno della festa di San Bruno, fondatore dell’Ordine Certosino, Papa Benedetto XVI affermò che “Silenzio e contemplazione - caratteristica di San Bruno - servono per poter trovare nella dispersione di ogni giorno questa profonda, continua, unione con Dio. Silenzio e contemplazione: la bella vocazione del teologo è parlare. Questa è la sua missione: nella loquacità del nostro tempo, e di altri tempi, nell’inflazione delle parole, rendere presenti le parole essenziali. Nelle parole rendere presente la Parola, la Parola che viene da Dio, la Parola che è Dio”.
E la potenza santificante della Parola, la sua intrinseca fecondità, ci conduce alla Verità tutta intera, senza fingimenti e compromessi.

Guido Reni, Gloria di San Domenico, primo quarto del sec. XVII,
Basilica di S. Domenico, Bologna.
"La sua parola bruciava come fiaccola..."


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