Le neuroscienze miglioreranno la convivenza sociale?
di Domenico Condito
Andiamo incontro a una stagione nuova nel campo delle neuroscienze, con risultati che potrebbero determinare una revisione radicale della stessa concezione dell’uomo e del suo rapporto con la realtà. Gli studi sui meccanismi neurofunzionali sottesi, per esempio, alla conoscenza, alla creatività e ai comportanti sociali e morali stanno già determinando una sorta di “rivoluzione copernicana”, spazzando via teorie pseudoscientifiche, credenze e approcci di tipo fideistico in voga da secoli.
I risultati di queste ricerche stentano a raggiungere il grande pubblico, e la loro divulgazione è contrastata dalle resistenze delle grandi lobby ideologiche e religiose. Tuttavia, sono destinati a incidere in misura rilevante nello sviluppo della civiltà moderna, determinando non solo nuovi assetti di pensiero, al di là delle stesse neuroscienze, ma anche una generale riorganizzazione delle nostre società. Sarà un cambiamento epocale paragonabile al passaggio dal geocentrismo tolemaico alla visione eliocentrica copernicana.
In questo senso, le neuroscienze sono “colme di futuro”, e ciò risulterà maggiormente evidente nei prossimi anni, grazie al lancio di due importanti progetti di ricerca, rispettivamente negli Stati Uniti e nell’Unione Europea. Nelle scorse settimane, il presidente Obama ha annunciato il varo del Brain Activity Map Project, con un piano di finanziamenti da 300 milioni di dollari all’anno per dieci anni, il cui obiettivo è la mappatura delle attività del cervello. Nel frattempo, l’Unione Europea aveva già deciso d’investire un miliardo e mezzo di euro in The Humain Brain Project, che punterà sulla realizzazione di piattaforme tecnologico-computazionali per integrare funzionalmente le conoscenze neuroscientifiche nel loro complesso.
La ricerca e i temi delle neuroscienze di base, infatti, configurano una costellazione molto vasta, dove, pur connotandosi in modo sempre più specialistico, emerge lo sforzo di ricomporre in una comprensione più unitaria e fondata la conoscenza dell’uomo. Vogliamo segnalare, in quest’ambito, l’importanza crescente delle neuroscienze sociali, che studiano le risposte comportamentali che hanno rilevanza per la convivenza sociale.
Il loro sviluppo ha avuto una caratterizzazione geografica molto evidente. Come scrive il prof. Gilberto Corbellini (Il Sole 24 Ore-Domenica, 10 marzo 2013, p. 25), “le ricerche condotte nei laboratori nordamericani si sono sviluppate partendo da problemi di psicologia della salute, cioè studiando gli effetti a livello endocrino di diversi stimoli sociali, quindi dall’identificazione degli effetti di lesioni neurofunzionali sulla psicologia della propria personalità sociale, fino alla scoperta, con gli avanzamenti delle tecnologie radiologiche, di risposte automatiche del cervello a fronte di stimoli cognitivi con valenze sociali, inclusi giudizi morali o le decisioni che implicano fiducia e disponibilità per scambi economici. Sul fronte europeo gli studi di neuroscienze sociali hanno assunto rilevanza scientifica internazionale attraverso le ricerche sulle basi neurobiologiche della teoria della mente o mindreading, e con l’espansione largamente interdisciplinare delle ricadute che ha avuto la scoperta dei neuroni a specchio e la possibilità di caratterizzare le basi neurobiologiche di atteggiamenti socialmente positivi, come l’empatia”.
Una domanda rilevante che si pongono gli studiosi di neuroscienze sociali è se i risultati delle loro ricerche siano in grado o meno di migliorare la qualità della convivenza civile nelle nostre società multietniche e multiculturali, limitando la conflittualità e favorendo esperienze d’integrazione. Di certo, tali studi hanno validato sul piano scientifico una serie di risposte comportamentali cablate nel nostro fenotipo da cause remote, e rilevate empiricamente da sociologi, primatologi, psicologi comparati e antropologi evoluzionisti. Come, per esempio, le risposte emotive attivate in automatico dalle strutture cerebrali implicate nella paura e nella fiducia, quando interagiamo con persone di etnie diverse. Automatismi che, “a nostra insaputa”, ci portano a preferire, e favorire, soggetti che appartengono al nostro stesso gruppo, o a provare diffidenza, se non addirittura ostilità, verso persone di appartenenza “diversa”. Risposte senz’altro adattive e utili quando gli uomini vivevano in gruppi ristretti e stabili, ma poco funzionali alla convivenza nelle nostre società globalizzate.
Purtroppo, i dati scientifici prodotti dalle neuroscienze sociali non sono tenuti in adeguata considerazione dagli studiosi delle scienze sociali e dagli intellettuali in genere, che pur invocano strategie per ridurre i danni causati dalla conflittualità e dai favoritismi nelle società multiculturali. “Tuttavia – scrive ancora il prof. Corbellini – alcuni risultati meriterebbero una discussione che vada al di là del mero sensazionalismo per le ripetute prove dell’attivazione automatica di strutture cerebrali e quindi di risposte somatiche che rilevano cambiamenti emotivi, per esempio di fronte a stimoli sociali come i volti con tratti caratteristici di etnie diverse. Di fronte all’eccitazione per il fatto che in prima istanza siamo controllati dalle emozioni, come diceva Hume, nulla induce a pensare, né a livello di studi di laboratorio né di esperimenti naturali, che se si asseconda questa predisposizione si ottengono più aperture e disposizioni a cooperare nelle complesse interazioni sociali che richiede convivere in un mondo globalizzato. Le emozioni sono essenziali nelle decisioni, ma per apprezzare i valori della convivenza in società innaturali serve forse soprattutto impadronirsi di strumenti cognitivi per decidere anche usando regole razionalmente affidabili, perché trasparenti e controllabili”.
Il dibattito è aperto, e la questione centrale sulle “regole” di buon funzionamento sociale, enunciata sapientemente dal prof. Corbellini, ci porta su un terreno difficile, ma necessario. Sono in gioco valori fondamentali come libertà, autodeterminazione e democrazia. Le risposte migliori verranno probabilmente dalla contaminazione di “saperi” diversi, ma non senza averne ampliato gli orizzonti cognitivi alla comprensione dell'uomo nuovo che le neuroscienze hanno catapultato nel nostro mondo.
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