Il collezionismo di reliquie nell’Europa della Controriforma

Il caso emblematico di Filippo II di Spagna

Domenico Condito
 
Reliquiario della Santa Croce, dal Tesoro della 
Cappella delle reliquie in Palazzo Pitti a Firenze.
Il culto delle reliquie, come la vendita delle indulgenze, è stata una delle questioni più controverse nella storia della Chiesa. In particolare, fra il Medioevo e l’Età moderna la venerazione dei resti mortali dei santi è stata contestata ferocemente sia dai fautori della Riforma protestante, sia da coloro che sostenevano il rinnovamento della Chiesa all’interno del mondo cattolico. Jean Delmeau ricorda che “come le benedizioni, così le reliquie, e con esse il culto dei santi nel suo complesso, furono oggetto delle critiche incrociate dei riformatori protestanti da una parte, e, dall’altra, di Erasmo e di Rabelais”. 
In effetti, la necessità di ristabilire una corretta e “ortodossa” venerazione dei santi e delle loro reliquie, che si era già manifestata in pieno Medioevo, s’impose prepotentemente nel XVI secolo sia con il sarcasmo corrosivo e devastante del riformatore Calvino, quanto con quello del teologo cattolico Erasmo. La risposta della Chiesa a questo attacco violento, e in buona parte giustificato, fu concisa ma vigorosa. La questione venne affrontata dal Concilio di Trento. Durante i lavori della XXV sessione (1563), la nona e ultima sotto il pontificato di Pio IV, fu emanato il decreto De invocatione, veneratione et reliquias sanctorum et de sacris imaginibus, col quale si fissarono le regole per la venerazione delle reliquie e la produzione di immagini sacre, allo scopo di ristabilire l’ortodossia del culto e porre un freno agli abusi deplorevoli.

Taddeo e Federico Zuccari, Concilio di Trento, 1560-66, Caprarola (Viterbo), 
Sala dell'Anticamera del Concilio di Palazzo Farnese.

I Padri conciliari riaffermarono, innanzitutto, la legittimità del culto dei santi e delle reliquie, facendo appello alla tradizione apostolica, agli insegnamenti dei Padri della Chiesa e ai decreti dei sacri concili. Nel decreto ordinarono ai vescovi, e a tutti coloro che hanno il compito della formazione dei fedeli, d’insegnare “che i santi, regnando con Cristo, offrono a Dio le loro orazioni per gli uomini; che è cosa buona ed utile invocarli supplichevolmente e ricorrere alle loro orazioni, alla loro potenza e al loro aiuto, per impetrare da Dio i benefici, per mezzo del suo figlio Gesù Cristo, nostro Signore, che è l’unico redentore e salvatore nostro; e che quelli, i quali affermano che i santi - che godono in cielo l’eterna felicità - non devono invocarsi o che essi non pregano per gli uomini o che l’invocarli, perché preghino anche per ciascuno di noi, debba dirsi idolatria, o che ciò è in disaccordo con la parola di Dio e si oppone all’onore del solo mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo; o che è sciocco rivolgere le nostre suppliche con la voce o con la mente a quelli che regnano nel cielo, pensano empiamente. Insegnino ancora diligentemente che i santi corpi dei martiri e degli altri che vivono con Cristo - un tempo membra vive di Cristo stesso e tempio dello Spirito Santo -, e che da lui saranno risuscitati per la vita eterna e glorificati, devono essere venerati dai fedeli, quei corpi, cioè, per mezzo dei quali vengono concessi da Dio agli uomini molti benefici. Perciò quelli che affermano che alle reliquie dei santi non si debba alcuna venerazione ed alcun onore; che esse ed altri resti sacri inutilmente vengono onorati dai fedeli; o che invano si frequentano i luoghi della loro” . Il decreto conciliare esigeva ancora che “nella invocazione dei santi, inoltre, nella venerazione delle reliquie e nell’uso sacro delle immagini sia bandita ogni superstizione, sia eliminata ogni turpe ricerca di denaro”. 

Furono fissate, al contempo, le norme per una severa regolamentazione dell’uso delle reliquie, al fine di prevenire la circolazione di reliquie false nelle chiese: “questo santo sinodo stabilisce che non è lecito a nessuno porre o far porre un’immagine inconsueta in un luogo o in una chiesa, per quanto esente, se non è stata prima approvata dal vescovo; né ammettere nuovi miracoli, o accogliere nuove reliquie, se non dopo il giudizio e l’approvazione dello stesso vescovo”.
La nuova normativa conciliare introdusse una novità significativa: l’esposizione alla venerazione dei fedeli di una qualsiasi reliquia doveva essere sottoposta alla valutazione dell’autorità ecclesiastica, che solo dopo averne comprovato l’autenticità sulla base di una documentazione certa, o perlomeno di una lunga tradizione, ne avrebbe autorizzato il culto. Quando i Padri conciliari emisero il decreto citato, era già scoppiato il primo dei conflitti religiosi in Francia, e le notizie della furiosa distruzione di reliquie, immagini sacre e ostie consacrate, ad opera dei protestanti francesi, avevano suscitato un profondo sconcerto nel mondo cattolico. Il Concilio operò in fretta, oppresso e incalzato dagli eventi, nel tentativo di porre un freno ad una insubordinazione ritenuta estremamente grave. Per questi motivi, fu approvato un testo orale del decreto, che risultò estremamente breve e senza riferimenti ad alcuna fonte. Il testo scritto fu ratificato successivamente dal nuovo papa Pio V con la bolla Benedictus Deus. Era il 26 gennaio 1564. 

François Dubois, Il massacro di San Bartolomeo, 1576,
Musée cantonal des beaux-arts - Lausanne.
In questo nuovo scenario europeo, segnato drammaticamente dalle guerre di religione, la distruzione iconoclasta di reliquie e di immagini sacre si diffuse ben presto in tutti i paesi riformati, suscitando grande turbamento nell’universo cattolico. Sull’onda dei Decreti tridentini, furono in tanti ad adoperarsi per la salvaguardia delle reliquie a rischio, promuovendone il trasferimento dai paesi riformati a quelli cattolici come l’Italia, la Spagna e il Portogallo. Ne conseguì un vasto movimento di reliquie che attraversò l’Europa. Fu sostenuto da prelati, ambasciatori, monarchi, cardinali, regine, imperatori, che vedevano nella rinascita del culto dei santi e delle reliquie, sancita dal Concilio di Trento, un modo per riaffermare la centralità della Chiesa di Roma e contrastare i movimenti della Riforma protestante. 

Anonimo, Felipe II, rey de España, XVI secolo,
Museo Nacional del Prado - Madrid.

Nel clima generato dalla Controriforma, si sviluppò ulteriormente il fenomeno del collezionismo sacro, e in misura preponderante rispetto ai secoli passati. In particolare, la tendenza a collezionare reliquie si diffonderà al punto da connotarsi come uno degli aspetti più singolari del nuovo movimento controriformista. Il più devoto e appassionato collezionista di reliquie dell’epoca fu Filippo II di Spagna (1527-1598), il Re dei due mondi, che contribuì in modo determinante all’affermazione di questo “nuovo” orientamento, come documentato ampiamente da Juan Manuel del Estal. Figlio dell’imperatore Carlo V e di Isabella del Portogallo, Filippo II fondò nel 1563 il celebre monastero-palazzo-mausoleo di San Lorenzo, El Escorial, per celebrare la vittoria di San Quintino, avvenuta il 10 agosto 1557, giorno della festa del martire spagnolo a cui venne dedicato il complesso monumentale. La grandiosa costruzione, edificata su una pianta a forma di graticola per ricordare il martirio di San Lorenzo, era destinata ad accogliere le salme di tutti i membri della famiglia reale. Il Re vi collocò anche la sua smisurata collezione di reliquie. Questa era composta da sei corpi interi di santi, almeno duecento crani di martiri, vergini e confessori, e migliaia di ossa di un numero imprecisato di eroici paladini della cristianità. La tendenza a collezionare reliquie e reliquari, talvolta preziosissimi, era certamente in linea con lo spirito dei tempi, e nel caso del monarca spagnolo fu favorita da due importanti aspetti della sua personalità: da un alto, la tendenza ossessiva ad accumulare all’Escorial, nella maggiore misura possibile, tesori artistici, letterari e religiosi; dall’altro, la sua profonda e austera religiosità , per quanto questa appaia ricca di contraddizioni agli occhi del nostro tempo, visto il fervore col quale il pio e devoto Re spagnolo sostenne l’attività del tribunale dell’Inquisizione nei confini dei propri Stati. Tuttavia, secondo Juan Manuel del Estal, “Filippo II fu, sì, un collezionista incomparabile di reliquie, ma non per semplice affezione occasionale o puro passatempo, bensì per l’imperativo della sua fede e la forza incontenibile della sua religiosità”. 

Monastero dell'Escorial, anche detto di San Lorenzo del Escorial,
San Lorenzo de El Escorial, comunità autonoma di Madrid.
Per mettere insieme la sua vasta collezione di reliquie, il monarca dispiegò un’attività senza precedenti, coinvolgendo in questa impresa i personaggi più influenti del suo tempo, dentro e fuori i confini del suo regno: “imperatori, re, principi, ambasciatori, vice-re, governatori, conti, duchi, marchesi, ecc.”. Non c’è papa, fra gli otto che si succedettero sul soglio pontificio da Pio IV a Clemente VII, che non figuri, nei documenti dell’archivio agiografico dell’Escorial, come donatore di reliquie a Filippo II, insieme a cardinali, arcivescovi, patriarchi e abati delle sedi più rinomate d’Europa, o residenti a Costantinopoli, Il Cairo, o in altre prestigiose località della cristianità: tutti molto zelanti nell’assecondare la singolare devozione del Re “prudente”, e rendergli omaggio con il dono di qualche reliquia. Fra i personaggi che incrementarono la più singolare collezione del Re di Spagna, e che vengono citati con maggiore frequenza nella vastissima documentazione del citato archivio agiografico Escurialense, figurano San Francisco de Borja, Preposito Generale della Compagnia di Gesù; l’imperatrice Maria d’Austria, sorella di Filippo II; Aloisio Giustiniano, patriarca di Aquileia; San Carlo Borromeo, cardinale e arcivescovo di Milano; Antonio Perrenot de Granvela, cardinale e vice-re di Napoli; il cardinale Marco Sittico, arciprete della Basilica di San Giovanni in Laterano e legato pontificio al Concilio di Trento; Alessandro Farnese, duca di Parma e governatore dei Paesi Bassi; Alessandro Riazio, cardinale e legato pontificio in Portogallo; Otho Truchsess von Waldburg, cardinale e arcivescovo di Augsburg; il Granduca di Firenze, Jacobus, arcivescovo di Tréveris e Principe Elettore Palatino; Eberhard von Bucholtz, Reynhard, abate di Corbie; D. Gaspar de Quiroga, cardinale e arcivescovo di Toledo; frate Matteo da Salerno, commissario di Gerusalemme; il cardinale Nicola Caraffa; Hugo de Loubenk, cardinale e Gran Maestro dell’Ordine di Malta; Daniel, arcivescovo di Magonza, cardinale e Principe Elettore dell’Impero; Sabelio, cardinale e Vicario Generale di Roma; Jorge Radrinil, cardinale e arcivescovo di Cracovia; Massimiliano, conte palatino del Reno e duca di Baviera; Yñigo de Avalos, cardinale d’Aragona; Lorenzo Mazzarachio, abate nel monastero del monte Sinai; frate Juan Regla, priore del monastero di Santa Engracia di Saragozza; D. Fernando Álvarez di Toledo, Granduca d’Alba, capitano generale e governatore dei Paesi Bassi, e tante altre personalità dell’epoca. 
Potrebbe essere stesa una lista ancora più lunga di nomi prestigiosi, per significare quanto il collezionismo di reliquie nell’età di Filippo II non fu un fenomeno occasionale né circoscritto, sollecitato magari dalla devozione ossessiva del monarca spagnolo, ma un tratto caratteristico della società del tempo, profondamente segnata dallo spirito della Controriforma. E ciò avveniva in Spagna, ma anche in Italia, Portogallo, nel Nuovo mondo e in tutti quei paesi che riconoscevano nella Chiesa di Roma la propria guida spirituale e religiosa.

Basilica del Monastero dell'Escorial, 
altare di San Girolamo, con reliquie di santi.

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