Il Mons Moscius, l'antico monte sacro di Stalettì

Dalla prefazione del libro che sto scrivendo su Stalettì, il borgo ionico calabrese situato al centro del Golfo di Squillace.

Domenico Condito

Grotta di San Gregorio - Caminia di Stalettì
Foto di Giuseppe Palazzo
“Ciò che l'immaginazione coglie come bellezza deve essere verità, che esistesse prima o no”. Il poeta romantico John Keats ha espresso questo pensiero in una delle sue “Lettere sulla Poesia”. Non si riferiva alla Bellezza fisica, ma al contatto con l’invisibile. “C’è qualcosa al di là del visibile. C’è una bellezza che è anche verità”, commenta Tommaso Orsini. Alla poesia, o al pensiero mitico e simbolico, spetta il compito di guidare l’uomo verso questa verità, che non può essere conosciuta attraverso i percorsi conoscitivi abituali, perché questi assimilano, eguagliano, limitano. Non si tratta di un approccio propriamente scientifico, ma può ispirare sorprendenti percorsi esplorativi, anche quando ci si avventura nella lettura storica e archeologica di un territorio “antico” come quello di Stalettì. 
La frantumazione del pensiero accademico contemporaneo, espressione forse di più gravi frantumazioni, impedisce di leggere la “bellezza”, l’anima di un territorio, e le diverse anime che l’hanno vissuto e rimodellato nel corso dei secoli; di cogliere quel momento magico in cui la spiritualità e l’immaginazione degli uomini hanno trasformato, per esempio, la materia “necessaria” di un elemento naturale, l’acqua, nella materia “libera” del sogno e della creazione spirituale, oltre che materiale, di un territorio. Acqua, dunque, tanto viva e concreta quanto le immagini dell’inconscio che ha alimentato, o le visioni simboliche e sacre che ha prodotto. Scoprire e raccontare davvero un territorio “antico” non è solo una questione storica e archeologica. È necessario recuperare queste immagini, cogliere e rappresentare la loro forza e vitalità, metterle in relazione le une alle altre e con la cultura e la storia delle persone che le hanno concepite e tramandate. 
L’acqua è l’elemento fondamentale del Moscius, l’antico monte sacro su cui svetta il borgo di Stalettì. L’acqua delle sorgenti è il sangue del monte, è la sua vita. Dall’alto lo penetra, lo scava, l’attraversa e lo coinvolge nel suo destino verso il mare. Un complesso e articolato sistema di cunicoli attraversa il territorio alle spalle del “Castrum bizantino” di Santa Maria del Mare, fino a raggiungere il sito dell’antico insediamento, per poi convogliare il ventre del monte nelle acque dello Ionio. Esplorati all’inizio degli anni ’90 da un gruppo di studio (Domenico Condito, Antonio Froio, Sergio Piane), sembrano risalire all’epoca classica, e probabilmente furono riutilizzati, ampliati e riadattati al tempo di Cassiodoro e durante la fase bizantina. Cunicoli e grotticelle si trovano anche nella parte alta del monte, in località Chillino, dove nel 1991 lo stesso gruppo di studio segnalò l’esistenza di un ninfeo greco-romano, successivamente riconosciuto anche dall’archeologia ufficiale. Lo stesso monte Moscius sorge dalle acque dello Ionio, sul quale si erge e sta come una nave alla fonda pronta a salpare. La grande Grotta, che si apre su quel mare di luce, è il “cuore” del monte, il suo centro spirituale. Lo fu per gli antichi greci, i romani, come per i cristiani di rito greco o latino che abitarono il Moscius. Qui, scriverebbe Paul Claudel, “tutto quanto il cuore desidera può sempre ricondursi all’immagine dell’acqua”. Acqua profonda e silente, notte oscura che attende nel grembo del monte la rinascita, il tempo della purificazione. Basterà una leggera brezza della sera perché quell’acqua torni a parlarci; un raggio di luna perché l’anima antica torni a camminare sulle sue onde.

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Il Mons Moscius


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