Quando nasce l'idea del Purgatorio?
È davvero un’invenzione medievale? La "visione" di Adrienne von Speyr, teologa e mistica del Novecento.
Domenico Condito
Domenico Condito
Contrariamente a quanto afferma un luogo comune molto diffuso ai giorni nostri, il “purgatorio”, inteso come “stadio intermedio” tra la morte e la resurrezione nell’ultimo giorno, non fu una “invenzione” medievale. La conoscenza che ne abbiamo affonda le prime radici nell’Antico Testamento (2 Mcc 12, 32-46) e in altri testi del periodo arcaico-giudaico, come, ad esempio, l’apocrifa Vita di Adamo e Eva (I secolo d.C.). È vero, però, che il Nuovo Testamento aveva lasciato aperta la descrizione di questo “luogo di purificazione”, non offrendo elementi sufficienti per la sua comprensione. L’argomento fu affrontato, a più riprese, nei secoli successivi. In particolare, la dottrina cattolica del purgatorio venne formulata nel Medioevo nel corso di due Concili che intendevano promuovere l’unione con le Chiese orientali. Successivamente fu ripresa e ridefinita in sintesi dal Concilio di Trento: « Illuminata dallo Spirito Santo, attingendo dalla Sacra Scrittura e dall’antica tradizione dei Padri, la Chiesa cattolica ha insegnato nei sacri Concili e in ultimo in questa assemblea plenaria: esiste un “luogo di purificazione” (purgatorium) e le anime ivi trattenute trovano aiuto nelle intercessioni dei credenti, ma soprattutto nel sacrificio dell’altare a Dio accetto » (DS 1820).
Significativi, inoltre, i contributi dei grandi mistici cristiani che, grazie alla “percezione intima e profonda” dei “misteri divini” infusa loro dallo Spirito Santo, hanno facilitato la nostra comprensione delle “cose ultime”, Purgatorio compreso.
Non possiamo tralasciare a questo riguardo la “visione” del purgatorio di Adrienne von Speyr, una delle più importanti mistiche cattoliche del Novecento. Morta nel 1967, fu medico, sposa, teologa e mistica, “superando le dimensioni della normalità non solo con la sua santità personale, ma anche con la sua opera”, come sosteneva il teologo Hans Urs von Balthasar, direttore spirituale della mistica svizzera.
Il testo che segue è tratto da una prima raccolta sistematica degli scritti di Adrienne von Speyr. L’antologia redatta da Barbara Albrecht, con un saggio introduttivo di Hans Urs von Balthasar, fu pubblicata in Italia nel 1975 dalle Edizioni Jaca Book, con il titolo Adrienne von Speyr: Mistica oggettiva.
Il Purgatorio
di Adrienne von Speyr
Tra croce e inferi: purgatorio
Da una parte si trova l’opera della pura carità: la croce. Dall’altra parte l’opera della pura giustizia: gli inferi. E il figlio vede ciò che il Padre trae da entrambi: vede la sintesi…
Il Padre va incontro al Figlio mostrandogli per primo non il duro regno degli inferi, ma la sintesi degli inferi e della croce, quindi l’effetto della carità del Figlio coinvolta nella giustizia. Davanti alla croce gli inferi erano l’unica definitiva realtà. Un purgatorio si capisce solo attraverso l’opera redentiva del Figlio. E il Padre mostra al Figlio di non rimanere indifferente di fronte alla redenzione, anche se la redenzione rimane temporaneamente nascosta presso di lui, il Padre.
La zona di confine
Il Figlio istituisce il purgatorio. Questo non è solo confine tra terra e cielo – e perciò un riflesso dell’incarnazione – è anche il limite tra bene e male. Perciò il confine non è posto al di fuori, il Figlio prende su di sé il peccato e, passando con il peccato attraverso gli inferi, forma il purgatorio, attira su di sé il confine del regno degli inferi. Ecco le due zone:
Dove sta il confine tra le due aree? È molto difficile precisarlo. Una è costituita dagli inferi, l’altra dal cielo e il Figlio prende con sé entrambi…
Il Signore ha fatto propri in sé i due spazi, quindi il confine è in lui, in lui essi si sono avvicinati:
In quanto Cristo diventa il confine, sorge il purgatorio. E il Figlio, tenendo presente il limite che è in lui, separa in seguito la destra e la sinistra. Certo stabilendo il confine rimane immutato ma è preso e respinto dai suoi confini. Il purgatorio è precisamente questa doppia azione. La decisione cade nel fuoco che egli stabilisce in forma stabile e con cui mette alla prova l’uomo: ciò che è incompatibile e brucia è gettato negli inferi.
La trasformazione attraverso il fuoco
Il Figlio deve ricondurre al Padre i lontani che non vogliono ancora accettare la carità del Signore, deve permettere che si attui in loro la procedura del Padre. Le anime in questo stato sono isolate. Non chiedono alcun aiuto e alcuna preghiera dall’esterno. Non riconoscono la loro colpa, non sono disposte a ricevere la pura grazia del perdono come l’unica via d’uscita. Insistono sulla propria giustizia, sui propri principi, sulla propria vita passata. Vogliono espiare i loro peccati secondo un metodo loro proprio. Così essi sono affidati al metodo del Padre che conosce bene nel suo mistero come deve combinare giustizia e misericordia per ogni anima per spronarli e per condurli alla carità del Figlio. Egli mette sempre nella sua giustizia già delle gocce della carità del Figlio senza che l’anima lo sappia e se ne accorga. Con il tempo il metodo porterà a dei risultati. L’anima incomincia allora a soffrire sotto tutti gli aspetti e a sentire la mancanza di aiuto; si vede costretta ad abbandonare la propria sicurezza. Gli diviene insopportabile la corazza della morale farisaica di cui si era circondata. Comprende che da sola non riesce: ha bisogno di aiuto. Deve ricorrere alla intercessione. Ora il Signore, che prima era impedito dal rifiuto, è libero. Ora la sua preghiera per l’anima diventa operante. Questa, che finora era congelata, si muove, tende verso la carità, si avvicina all’uscita del purgatorio, mentre quindi il peccatore anela sempre in modo più incalzante verso la carità e la perfezione, si pente sempre più del peccato, rende sempre più efficace in sé stesso la preghiera del Signore e della Chiesa, si compie in lui la trasformazione decisiva. Nella misura in cui riconosce la gravità del peccato, in cui comincia ad accorgersi di tutta l’estensione del peccato nel mondo e della sua cattiveria, dimentica i confini della propria e altrui colpa. Ora scorge una sola cosa: l’immensa offesa recata a Dio dai peccati. Non la vede direttamente negli altri (nel purgatorio non si vedono gli altri) ma guardando indietro al suo stato, come era nella vita terrena e quando entrò nel luogo di purificazione. Soprattutto in questa immagine miserabile riconosce l’essenza del peccato. Non ha più importanza per lui se ad incominciare è stato lui o un altro; non si preoccupa più neanche della purificazione e redenzione personale; non conta più in certo modo il tempo che deve trascorrere qui. È così poco preso dal pensiero dell’espiazione e dell’aiuto che sarebbe pronto ora con gioia a rimanere nel fuoco fino alla fine del mondo, se Dio fosse offeso solo un po’. L’intero peso passa da lui alla carità di Dio e attraverso la carità di Dio all’amore del prossimo. L’anima non vuole più raggiungere scopi personali, ma essere solo strumento della carità. Nel momento in cui la raggiunge tale pensiero, essa è redenta. Egli può pregare insieme al Signore e alla Chiesa, la loro preghiera incomincia ad essere efficace nella comunione dello Spirito, e questa è l’assoluzione definitiva con cui entra in cielo. Il purgatorio è il proprio io; il cielo sono gli altri. Il passaggio avviene nella carità. L’ordine dell’amore sulla terra e nel purgatorio è come capovolto: sulla terra il grande comandamento del Signore è “amatevi l’un l’altro”. Attraverso l’amore del prossimo è garantito l’amore verso Dio e sempre più motivato. Il cammino decisivo verso Dio passa attraverso la carità del prossimo. Nel purgatorio si verifica il contrario: il peccatore riconosce dapprima l’offerta di Dio di cui egli stesso è colpevole, giunge alla carità di Cristo e da essa gli si apre l’amore verso gli uomini. Nel momento in cui vede che la carità del Signore è eucarestia, cioè donazione infinita ai fratelli, egli è redento.
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