Il Sinodo di Squillace del 1784: l’editto di convocazione promulgato dal vescovo Nicola Notaris

Seconda tappa del nostro percorso di riscoperta di questo importante Sinodo calabrese. Qui si esamina l’editto di convocazione, promulgato all’indomani del terribile terremoto del 1783, in un contesto di drammatica devastazione materiale e degrado sociale. L’atto coraggioso di un vescovo zelante e riformatore, una grande prova di resilienza della chiesa squillacese.
Domenico Condito

Squillace in una cartografia manoscritta delle fine del XVI secolo

Il 20 maggio 1784, da Squillace, il vescovo Nicola Notaris emanava un solenne Edictum Convocationis con cui annunciava la celebrazione della Primo Sinodo Diocesano sotto il suo episcopato. Il documento, redatto in latino e affisso alle porte della cattedrale e delle chiese matrici della diocesi, rappresenta una tappa fondamentale nella storia religiosa calabrese del tardo Settecento.
Come ogni documento ecclesiastico dell’età post tridentina, anche l’editto di convocazione del Sinodo di Squillace si apre con un incipit solenne, strutturato secondo le regole della diplomatica canonica. In esso si distinguono tre parti:

  • la invocatio, con il richiamo alla Santissima e Indivisibile Trinità;
  • la intitulatio, che presenta l’autorità del vescovo Nicola Notaris con i suoi titoli e prerogative;
  • la inscriptio, che indica i destinatari, cioè il Capitolo, il clero e i fedeli della diocesi.

Ecco il testo dell’incipit solenne dell’editto: 

“Nel nome della Santissima e Indivisibile Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. 
Nicola Notaris, per grazia di Dio e della Santa Sede Apostolica già Vescovo di Umbriatico, ora Vescovo della Santa Chiesa Squillacese, Prelato domestico del Santissimo Pontefice Pio VI, assistente al suo solio pontificio, e Consigliere a latere di Sua Maestà il Re delle Due Sicilie. 
Ai venerabili Fratelli del Capitolo della nostra Cattedrale, a tutto il Clero, e ai diletti figli della Città e della Diocesi: salute eterna nel Signore”.

Questa formula iniziale non è un semplice ornamento retorico, ma conferisce al documento la sua legittimità giuridica e pastorale, collocandolo nel solco della tradizione conciliare e canonica.

I motivi della convocazione

L’editto si apre con un richiamo alla Santissima Trinità e alla missione pastorale affidata al vescovo. Notaris sottolinea come la convocazione del sinodo sia un dovere derivante dai canoni antichi e dal Concilio di Trento (1545–1563). In particolare, nelle sessioni riguardanti la riforma del clero e la cura d’anime, il Concilio aveva prescritto la celebrazione periodica dei sinodi diocesani e provinciali, come strumento ordinario di governo e di disciplina ecclesiastica, per assicurare:

  • uniformità dottrinale e corretta prassi pastorale;
  • rafforzare il culto divino nella sua purezza;
  • consolidare la disciplina cristiana ed ecclesiastica;
  • correggere abusi e innovazioni introdotte nel tempo;
  • promuovere la formazione e la santità del clero.

Il vescovo richiama la propria responsabilità con parole solenni: Injunctum pastoralis solicitudinis officium animo sæpe, menteque repetentes, plane equidem agnovimus ea, quæ æternus Pontifex… inspirare dignatus est (“Il ministero della sollecitudine pastorale, spesso richiamato alla mente e al cuore, ci ha fatto riconoscere ciò che l’Eterno Pontefice ispira ai Padri radunati nello Spirito Santo”). La formula injunctum pastoralis solicitudinis officium esprime il senso del ministero episcopale come compito imposto e continuamente richiamato alla coscienza del vescovo. Si tratta di un lessico tipico della normativa post-tridentina, che concepisce la responsabilità pastorale non come scelta personale, ma come obbligo giuridico e spirituale derivante dall’istituzione divina. L’accenno al fatto che tale ufficio sia “ripetuto spesso nella mente e nel cuore” sottolinea la dimensione interiore della vigilanza episcopale, mentre il riferimento all’æternus Pontifex (Cristo stesso) e all’ispirazione dello Spirito Santo colloca l’azione del vescovo nel quadro della tradizione conciliare: il sinodo non è un atto amministrativo isolato, ma un esercizio di obbedienza alla volontà di Dio e di conformità alle deliberazioni dei Padri radunati in Spirito Santo. 

L’urgenza del sinodo

Antonius Eisenhoit, Haeresis Dea, 1589.

La parte più significativa dell’editto è quella in cui Notaris confessa di aver già visitato più volte la diocesi e di aver constatato situazioni che non potevano più essere ignorate: Et quia pluries universæ Diœcesis visitatio, jam Deo dante, fuit per Nos absoluta, Synodi convocationem amplius differri non oportere censumus (“E poiché più volte la visita dell’intera diocesi, con l’aiuto di Dio, è stata da noi compiuta, riteniamo che la convocazione del sinodo non debba più essere ulteriormente rimandata”).
Questa dichiarazione rivela l’urgenza della convocazione. Le visite pastorali, previste dalla normativa post‑tridentina, erano strumenti di verifica dottrinale, disciplinare e liturgica nelle parrocchie. L’espressione pluries visitatio… non oportere differri segnala che l’urgenza sinodale nasce da rilievi concreti raccolti sul territorio e dall’esigenza di tradurli in norme comuni. Durante le visite pastorali, il vescovo aveva riscontrato:

  • vel temporum injuria  (“per danno dei tempi”), cioè il degrado sociale e religioso seguito al terremoto del 1783, che aveva sconvolto la Calabria, favorendo declino materiale ma anche morale;
  • subdolo operario Sathana (“per l’opera subdola di Satana”), la penetrazione di errori dottrinali, disordine spirituale e comportamenti corrotti;
  • vel inveterata, vel nuper introducta (“abitudini inveterate o introdotte di recente”), pratiche liturgiche o consuetudini popolari non conformi alla disciplina ecclesiastica.

Il sinodo si configurava dunque come un momento di riforma urgente, di purificazione collettiva e di rinnovamento della vita ecclesiale, ma anche come simbolo di resilienza ecclesiale in un contesto di drammatica devastazione materiale, sociale e morale.

Il contenuto dell’editto

Il testo stabilisce che il sinodo si sarebbe tenuto il 29 giugno 1784, festa dei santi Pietro e Paolo, in un tabernaculum ligneum provvisorio eretto al posto della cattedrale e dell’episcopio distrutti dal terremoto. Tutti i chierici aventi diritto erano obbligati a partecipare personalmente, pena le sanzioni canoniche.
In attesa del sinodo, Notaris prescriveva inoltre:

  • la recita quotidiana della colletta allo Spirito Santo durante la Messa,
  • le Litanie dei Santi nelle feste,
  • la concessione di quaranta giorni di indulgenza ai fedeli che vi partecipassero devotamente.

La concessione di quadraginta dies rientra nelle indulgenze temporali praticate nel XVIII secolo, con valore pedagogico e devozionale. La prescrizione della colletta allo Spirito Santo e delle Litanie dei Santi crea un clima di preghiera condivisa, preparando clero e popolo alla ricezione delle decisioni sinodali.

Il contesto storico

Il documento si colloca in un periodo di profonda trasformazione religiosa e politica. Da un lato, la Chiesa calabrese viveva ancora l’eredità del Concilio di Trento, con la necessità di disciplinare il clero e rafforzare la catechesi; dall’altro, il Regno di Napoli sotto Ferdinando IV e i ministri riformatori (da Tanucci ai suoi successori) esercitavano un forte controllo sulla vita ecclesiastica, imponendo censura e approvazioni regie alle pubblicazioni sinodali.
La necessità di approvazioni regie e la censura sugli atti ecclesiastici rispecchiano il controllo statale sulla Chiesa (giurisdizionalismo). I sinodi diocesani dovevano conformarsi alle prerogative sovrane, bilanciando l’autonomia pastorale con le norme civili. Nicola Notaris, vescovo colto e riformatore, si muoveva dunque tra zelo apostolico e vincoli politici, cercando di rinnovare la diocesi senza urtare le prerogative regie. La convocazione del sinodo del 1784 fu il primo passo di un progetto più ampio, che avrebbe portato alla redazione e alla travagliata pubblicazione degli atti sinodali nel 1786.

Significato dell’editto

L’editto non è solo un atto amministrativo: è la manifestazione di un episcopato consapevole che intende:

  • riaffermare l’autorità del vescovo come guida spirituale,
  • coinvolgere il clero in un processo di riforma,
  • stimolare i fedeli alla partecipazione attiva mediante preghiere e indulgenze.

In esso si riflette la tensione tipica del Settecento meridionale: una Chiesa locale che, pur soggetta al controllo statale, cerca di mantenere viva la propria missione pastorale e di rinnovare la disciplina ecclesiastica.

Conclusione

L’editto di convocazione del Sinodo di Squillace del 1784 si rivela dunque non soltanto come un documento amministrativo, ma come la testimonianza di un episcopato consapevole e riformatore, capace di coniugare zelo pastorale e disciplina ecclesiastica in un contesto storico segnato da difficoltà materiali e da vincoli politici. La sua analisi mette in luce la tensione tra la necessità di rinnovamento interno e le pressioni esterne esercitate dal potere civile, restituendo la complessità di una significativa stagione di riforma nella Chiesa calabrese.

Come già annunciato nei giorni scorsi, la scoperta e lo studio del Sinodo procederanno con ulteriori articoli dedicati ai diversi aspetti della vicenda, che confluiranno nella edizione critica degli atti sinodali. Tale edizione sarà corredata da un’appendice contenente i documenti coevi pubblicati insieme agli atti, così da offrire agli studiosi e ai lettori un quadro completo e rigoroso di questa significativa esperienza ecclesiastica.
 

L'articolo precedente sul Sino di Squillace del 1784 è visualizzabile qui ➡️ Tra zelo apostolico e censura regia: il Sinodo di Squillace del 1784 e la travagliata pubblicazione degli atti 

 

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