Accademico e divulgativo: i due volti della scrittura storica
Tra rigore accademico e chiarezza divulgativa: due modi diversi di raccontare la storia. Rispettare la distinzione significa evitare giudizi sommari.
Domenico Condito
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| Quintiliani Institutiones oratoriae, Plut. 46.12, c. 1r |
L’articolo storico accademico: il laboratorio della ricerca
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| Isidoro di Siviglia, Etymologiae, Apollus Medicus, Ms CCII fol.91v |
Il suo scopo non è semplicemente raccontare la storia, ma contribuire al dibattito scientifico, offrendo nuove interpretazioni, documentando fonti inedite o proponendo metodologie di analisi. Per questo motivo, l’articolo accademico è caratterizzato da alcuni elementi imprescindibili:
- note esplicative: servono a chiarire riferimenti, citazioni, varianti testuali e rimandi a fonti primarie. Sono il segno tangibile della trasparenza metodologica;
- bibliografia dettagliata: un elenco completo delle opere consultate e citate, che permette al lettore di verificare la correttezza delle affermazioni e di orientarsi verso ulteriori studi;
- struttura rigorosa: introduzione con stato dell’arte, corpo centrale con analisi e discussione, conclusione con risultati e prospettive di ricerca;
- linguaggio specialistico: tecnico, preciso, spesso denso di terminologia disciplinare.
In sintesi, l’articolo accademico è il luogo della verificabilità e della trasparenza metodologica. Ogni affermazione deve poter essere controllata, ogni citazione deve avere un riferimento, ogni ipotesi deve poggiare su basi documentarie solide.
L’articolo storico divulgativo: un ponte verso la comunità
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| Miniatura raffigurante Cassiodoro Cambridge, Trinity College Library, MS O.7.13, f. 001r. |
Il divulgativo è, in fondo, un ponte: prende la complessità della ricerca e la traduce in un linguaggio accessibile, narrativo, capace di evocare immagini e atmosfere. Non rinuncia al rigore, ma lo esercita in modo diverso: selezionando, semplificando e rendendo chiaro ciò che nell’accademia è spesso espresso con densità specialistica.
Ecco perché, di norma, non presenta note esplicative né bibliografie dettagliate. Non è una mancanza di serietà, ma una scelta coerente con lo scopo: non la verifica puntuale, bensì la trasmissione chiara e coinvolgente dei contenuti. La sua forza risiede nel linguaggio:
- scorrevole e narrativo, capace di catturare l’attenzione;
- evocativo, in grado di restituire atmosfere e rendere vivi personaggi e vicende;
- accessibile, preciso ma privo di tecnicismi che rischierebbero di allontanare il lettore.
Da qui, però, nasce un tema sensibile: la percezione di “scopiazzamento” quando un contenuto accademico viene rielaborato in chiave divulgativa senza note o bibliografia. Ma un articolo divulgativo non è un articolo accademico. La sua funzione non è documentare in modo puntuale le fonti, bensì rendere accessibili e comprensibili i contenuti storici a un pubblico più ampio.
Chi rielabora concetti scientifici non copia: traduce, semplifica, adatta. È un lavoro diverso, che richiede rigore e responsabilità, ma che non si misura con gli stessi criteri dell’accademia. Parlare di plagio in questi casi significa confondere i generi e non cogliere la differenza di scopo e di destinatari. Pubblicare un post su Facebook, o scrivere un articolo su un blog o su una rivista destinata al grande pubblico, non è come scrivere su una rivista scientifica, e il contesto definisce non solo i destinatari degli articoli, ma anche gli strumenti e le modalità della comunicazione.
Rigore e divulgazione: una responsabilità condivisa
Un altro equivoco diffuso è pensare che l’articolo divulgativo sia “meno serio” o “meno rigoroso” rispetto a quello accademico. In realtà, la responsabilità dello storico che scrive per il grande pubblico è altissima: deve semplificare senza tradire, raccontare senza deformare, evitare la banalizzazione pur mantenendo chiarezza e precisione.
Un buon articolo divulgativo dimostra che rigore scientifico e accessibilità narrativa possono convivere. È ciò che cerco di realizzare con le mie pubblicazioni divulgative, sia sul web sia su riviste cartacee: testi colti e di qualità, ma rivolti a un pubblico ampio. La ricerca rimane alla base, ma viene restituita in una forma che non scoraggia il lettore comune, bensì lo invita a entrare nel mondo della storia con curiosità e passione.
Eppure, non mancano coloro che leggono un articolo divulgativo come se fosse un saggio accademico e, non trovando note o bibliografie, lo giudicano con sufficienza. È un po’ come criticare un racconto perché non ha la struttura di un trattato: segno che non si è colta la differenza di genere e di scopo.
Excursus: le radici antiche della riflessione sulla scrittura storica
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| Cicerone, De oratore (incipit) - BAV, Pal. lat. 1469, 1r. |
Cicerone, ad esempio, nel De oratore (55 a.C.) insiste sulla necessità che l’oratore sappia narrare con chiarezza e eleganza, influenzando così anche la storiografia. Quintiliano, nella Institutio oratoria (fine I sec. d.C.), dedica ampio spazio alla narrazione storica come esercizio di formazione retorica. Luciano di Samosata, nel trattato greco Come si deve scrivere la storia (II sec. d.C.), stabilisce regole precise: verità, sobrietà, chiarezza, evitando artifici retorici che tradiscono i fatti.
Accanto a questi testi teorici, vi sono opere che, pur non essendo trattati, hanno funzionato da modelli: le biografie di Cornelio Nepote, De viris illustribus, mostrano come la storia potesse essere raccontata in forma breve e accessibile, mentre Isidoro di Siviglia, nelle Etymologiae (VII sec. d.C.), riflette sul valore della memoria e della scrittura come strumenti di trasmissione culturale.
Questi autori dimostrano che la tensione tra rigore e chiarezza, tra verità e stile, è antica quanto la storiografia stessa. La loro lezione rimane attuale: la storia deve essere fedele ai fatti, ma anche capace di parlare ai lettori.
Conclusione
La storia ha bisogno di essere studiata con rigore, ma anche raccontata con passione. L’articolo accademico e l’articolo divulgativo rispondono a due esigenze diverse, ma ugualmente vitali: la prima è la verifica scientifica, la seconda è la diffusione culturale. Io cerco di coniugare entrambe le dimensioni: la serietà della ricerca e la chiarezza della divulgazione. È in questo equilibrio che la storia diventa davvero patrimonio condiviso, memoria viva e strumento di identità. E i miei lettori, ormai numerosissimi, sembrano darmi ragione.

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