Cassiodoro e Benedetto Iª parte — Il Menologium Benedictinum di Bucelinus e l’appropriazione di Cassiodoro
Tra erudizione e ideologia: il dossier cassiodoreo nel Menologium di Bucelinus.
Domenico Condito
La figura di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore (ca. 485–580) fu al centro, nel XVII secolo, di una vivace polemica storiografica che contrappose due grandi tradizioni: da un lato quella benedettina, desiderosa di annoverare Cassiodoro tra i propri santi e confessori; dall’altro quella che partiva dal cardinale Cesare Baronio, più cauta e attenta a distinguere la sua esperienza monastica da quella di San Benedetto.
Chiunque abbia familiarità con la storia tardoantica sa che Cassiodoro non fu un monaco benedettino. Egli fondò il suo monastero dopo l’abbandono della corte di Teodorico, a cui seguirono diversi anni di soggiorno a Costantinopoli. All’epoca, la Regola di san Benedetto, pur già esistente, non aveva ancora assunto quella centralità normativa che avrebbe conquistato nei secoli successivi; e il Vivariense, il cenobio fondato da Cassiodoro nei pressi di Squillace, dopo l’abbandono della vita politica, seguiva un modello peculiare, più vicino ad altre tradizioni e allo studio delle Scritture che alla disciplina benedettina propriamente detta.
| Teodorico e Cassiodoro in Leiden, Bibliotheek der Universiteit, Vulc. 46, f001v-002r. Datazione: anno 1177. |
Nelle Institutiones Cassiodoro configura il Monastero di Vivarium come un luogo in cui lo studio non è separato dalla vita spirituale. Il suo piano formativo parte dal Trivium e dal Quadrivium, che forniscono al monaco gli strumenti per leggere con intelligenza sia la Scrittura sia il creato. Il Trivium — grammatica, retorica e dialettica — affina la capacità di comprendere le parole della Bibbia, riconoscerne le forme, evitare errori interpretativi. Il Quadrivium — aritmetica, musica, geometria e astronomia — apre invece alla contemplazione dell’ordine divino inscritto nel mondo, utile anche per la vita liturgica e per il computo del tempo sacro.
A questo impianto Cassiodoro aggiunge un elemento decisivo: la conservazione e trascrizione dei testi, sia classici sia patristici. A Vivarium, copiare i libri non è un lavoro tecnico, ma un vero atto spirituale. Trascrivere significa salvare la memoria della Chiesa e della cultura, impedire che il patrimonio antico vada perduto, e allo stesso tempo formare il monaco alla pazienza, alla precisione e alla responsabilità verso la Verità. La cura dei codici, la correzione degli errori, la scelta delle fonti diventano parte integrante del percorso educativo.
In pratica, Cassiodoro codifica un sistema di studi che non ha precedenti in Occidente, che si propone di salvaguardare e trasmettere il patrimonio della paideia greco-romana all’interno di una cornice monastica e cristiana. E questo non era il modello di Benedetto.
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| Minatura all'interno dell'iniziale istoriata “C” dell’incipit delle “Institutiones” - Newberry Library, Case MS 8, f. 66r |
Tuttavia, nel Seicento, in un’Europa segnata da riforme, controriforme e dalla crescente necessità di consolidare identità religiose e istituzionali, l’Ordine di San Benedetto avviò una campagna erudita e ideologica per rafforzare la propria genealogia spirituale. Non si trattava solo di custodire la memoria dei santi canonici, ma di ampliare il pantheon benedettino includendo figure eminenti della storia cristiana che, pur non avendo lasciato tracce formali di professione monastica benedettina, potevano essere assimilate per prassi, spirito e dottrina. In questo contesto, Cassiodoro divenne oggetto di una vera e propria “affiliazione” benedettina.
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| Antiporta del Menologium Benedictinum di Gabriel Bucelinus |
Uno dei primi tentativi in tal senso lo troviamo nel monumentale Menologium Benedictinum di Gabriel Bucelinus, stampato a Feldkirch nel 1655. Quest’opera, che raccoglie le vite dei santi, beati e illustri uomini dell’Ordine benedettino, è molto più di un calendario liturgico: è un compendio ideologico, un archivio di memoria selettiva, un dispositivo di appartenenza.
Il Menologium si articola in due sezioni principali:
• una raccolta di elogia biografici, ordinati secondo il calendario liturgico, con l’intento di “accendere gli animi attraverso esempi domestici” e rafforzare la memoria spirituale dell’Ordine;
• un Sacrarium sive Reliquiarium Benedictinum, che descrive il culto delle reliquie benedettine, anche di santi non appartenenti formalmente all’Ordine, ma venerati nei suoi monasteri.
Bucelinus, monaco e teologo del monastero imperiale di Weingarten, vi inserisce Cassiodoro al 25 settembre, con il titolo di “Ven. et Sanctiss. Cassiodori Magni V.C. Monachi Castellensis”.
La voce dedicata a Cassiodoro è un elogio che fonde biografia civile e spirituale, ripercorrendo le tappe della sua carriera imperiale, per poi descrivere la sua conversione monastica come un miracolo di umiltà e sapienza. Bucelinus insiste sul fatto che Cassiodoro, attratto dalla santità di Benedetto e dei suoi discepoli, fondò il cenobio di Vivarium “frequentando familiarmente i nostri monaci” e finì per indossare il cucullo, cioè l’abito monastico, facendo professione. La narrazione culmina con l’immagine di Cassiodoro che, nella vecchiaia, insegna ai novizi i rudimenti delle lettere, componendo per loro trattati di grammatica, retorica, dialettica, musica, geometria e astronomia, fino al Computus paschalis. È il ritratto di un uomo che, dopo aver governato il mondo, si fa servo di Cristo e maestro dei monaci.
Ecco il testo del Bucelinus, tradotto in italiano:
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| BSB, cod. lat. 2599, f. 106 |
“Nel monastero Castellense, [si celebra la memoria] del venerabile e santissimo Cassiodoro il Grande, uomo illustre, detto per antonomasia “Senatore”, monaco dello stesso cenobio, illustrissimo per l’esimia santità di vita, per dottrina e per meriti.
Marco Aurelio Cassiodoro, nato da nobilissima stirpe, eccelse oltre ogni credibilità e lode per erudizione e per abilità nel governo delle cose pubbliche. Fu dapprima comes rerum privatarum, poi comes sacrarum largitionum; inoltre ottenne le praefecturae delle province di utraeque Siciliae, dei Brutii e della Lucania. In seguito, salito al sublime grado del Patriciatus, e ricoperto anche l’ufficio di Quaestor Palatii, avanzò fino alla dignità di Magister Officiorum; quindi, onorato del grande titolo di Praefectus Praetorio, meritò infine il vertice delle dignità, il Consulatus Urbis.
Ma la gloriosissima memoria del nostro Patriarca [Benedetto], da poco defunto, e gli esempi recentissimi dei suoi discepoli, attrattolo dalla solidità della virtù e della felicità dei nostri, lo indussero a ritenere che tutto ciò che possedeva dovesse essere considerato come nulla, purché potesse giungere anche lui a quella dignità di vita. Fondato dunque a proprie spese il Vivariensi sive Castellensi Coenobio (che istituì in modo tale che nulla mancasse a coloro che servivano Dio, di ciò che potesse giovare al cristiano filosofo per la conoscenza delle cose divine), mentre frequentava familiarmente i nostri monaci, da lui chiamati in quel luogo, e riconosceva sempre più profondamente i beni più solidi della religione, poco dopo, nauseato delle cose destinate a perire e desideroso delle eterne, indossò egli stesso il cucullo e fece professione monastica.
Fiorì allora, come un miracolo, tra i primi e più insigni ornamenti dell’Ordine, nel primitivo splendore del santissimo Istituto; e tanta fu la sua grandezza e gloria nel secolo, quanta fu la sua umiltà d’animo nel monastero.
Baronio lo chiama e celebra come dottissimo e santissimo, decoro della nobiltà romana, illustrato da innumerevoli cariche; e lo raccomanda a molti, benché vivesse ritirato nel monastero che egli stesso aveva costruito, non però ozioso, ma dedito a Dio e alle lettere, e sempre intento a produrre qualche frutto del suo fertilissimo ingegno.
Quell’ammirabile esempio di umiltà, e di eccellenza personale calpestata e vinta, emerse mirabilmente tra le altre virtù e i meriti di Cassiodoro, quando l’umilissimo, pur essendo stato un così grande Console, non solo si fece monaco, ma anche maestro di scuola, non disdegnando affatto di insegnare ai fanciulli i primi elementi e rudimenti delle lettere, divenendo un miracolo di pazienza, carità e mansuetudine.
Esalta questo fatto, e altri ancora, con degne lodi, Cesare Baronio; e dopo aver enumerato varie opere del suo ingegno, dice: «Davvero non smetto di ammirare – afferma – l’incredibile umiltà d’animo di quest’uomo dottissimo, che, secondo l’Apostolo, si fece tutto a tutti. Infatti, non cercando ciò che era suo, ma ciò che era degli altri, volle insegnare anche i primi rudimenti, nella sua età decrepita, ai monaci come se fossero fanciulli; e non rifiutò di tenere loro la mano come ai bambini, e di guidarli a formare correttamente le lettere», ecc.
E poco dopo: «Ma che accadde poi? Fu forse questo il termine della sua attività didattica? Niente affatto. Infatti, dopo aver insegnato a costoro la capacità di scrivere correttamente, volle renderli diligentemente coltivati anche nell’arte grammaticale, componendo per loro un libro sulla stessa Grammatica; e poi aggiunse un breve compendio di Retorica; e inoltre un volume più ampio sulla Dialettica; e anche trattati sull’Aritmetica, sulla Musica, sulla Geometria e sull’Astronomia, non disperdendosi nelle opinioni dei filosofi, ma perseguendo ciò che rende il lettore sobrio e pio», ecc.
Infine, aggiunse anche un libello sul Computo Pasquale, ecc.
Così dunque colui che aveva trascorso la parte più vigorosa della vita nel governo ottimale del regno, utilmente e con onore, e che neppure nella decrepita vecchiaia interruppe minimamente le fatiche rivolte alle cose divine, si addormentò infine nel suo monastero con santa morte, nell’anno del Signore 575, all’età di 95 anni, avendo sperimentato la dolcissima servitù di Cristo e avendola attestata in più luoghi, soprattutto alla fine del libro De Anima: «A te infine, Signore – dice – è più nobile servire che conquistare i regni del mondo; poiché da servi diventiamo figli, da empi giusti, da prigionieri liberati», ecc.
Tratto dagli Annali Ecclesiastici di Baronio, da Antonio de Tepes, Pietro Opomero, Antonio Possevino, Carlo Stengel, e dai nostri Annali Benedettini, tomo II, dei Santi, ecc.”.
Questa voce del Menologium non è un caso isolato. Bucelinus, nato nel 1599 a Diessenhofen (Turgovia) e morto nel 1681 a Weingarten, fu uno dei più prolifici eruditi benedettini del suo tempo. Dopo aver studiato filosofia e teologia a Dillingen, fu maestro dei novizi e prevosto della chiesa di San Giovanni a Feldkirch. Le sue opere, tra cui Germania topo-chrono-stemmatographica sacra et profana, Germania topo-chrono-stemmato-Graphica sacra et profana, gli Annales Benedictini e il Menologium, sono dense di notizie, ma anche di costruzioni ideologiche. La sua storiografia non segue criteri critici moderni, ma risponde a esigenze di appartenenza, di edificazione e di legittimazione. Il Menologium è, in questo senso, un’opera di “memoria militante”, che cerca di radicare l’Ordine benedettino in una storia sacra e universale.
Le fonti di Bucelinus per il profilo di Cassiodoro sono molteplici: gli Annales Ecclesiastici di Cesare Baronio, le Cronache di Antonio de Tepes, Pietro Opomero, Antonio Possevino, Carlo Stengel, e soprattutto gli Annales Benedictini, da lui stesso compilati. Ma è interessante notare che, pur citando Baronio come fonte, Bucelinus lo supera ideologicamente: mentre Baronio riconosce la santità e la dottrina di Cassiodoro, ma non ne afferma l’appartenenza benedettina, Bucelinus lo include tra i venerabili dell’Ordine, lo celebra come confessore e lo inserisce nel calendario liturgico. È il passaggio da una stima personale a una appropriazione istituzionale.
Nel Medioevo, Cassiodoro era già stato talvolta definito “monaco benedettino”, ma si trattava di attestazioni isolate, spesso legate a titoli manoscritti o a compilazioni agiografiche prive di intento sistematico. Paolo Diacono, Onorio di Autun, Sigiberto di Gembloux, Orderico Vitale, Roberto di Monte, Ottone di Frisinga, Guglielmo di Malmesbury e altri lo chiamano semplicemente “monaco”, senza specificare l’Ordine. In quei secoli, il termine “monaco” implicava spesso una generica appartenenza alla vita regolare, e solo raramente una precisa professione. Non si può parlare, dunque, di una campagna ideologica medievale. È nel Seicento, con Bucelinus e con altri eruditi come Tritemio, Yepes, Vuion, Stengelius e Garet, che si inaugura una vera e propria strategia di canonizzazione benedettina, che culminerà nella contestazione degli Annales del Baronio e nella difesa accademica della “regola vissuta” da Cassiodoro.
Il caso Bucelinus è emblematico perché segna l’inizio di questa strategia. La sua voce su Cassiodoro è costruita con cura, con citazioni, con riferimenti alle opere, con l’uso sapiente del linguaggio agiografico. Il fondatore del Vivariense diventa un modello di conversione, di umiltà, di sapienza cristiana, e la sua figura è piegata alle esigenze dell’Ordine Benedettino, che in quel secolo cerca di consolidare la propria identità, di rispondere alle sfide della modernità e di radicarsi in una genealogia spirituale che unisca Roma, Vivarium e Montecassino.
Nei prossimi articoli, vedremo come questa campagna si sviluppa ulteriormente con Jacqueline Bouette de Blémur, con Jean Garet e con la celebre diatriba Garet–Baronio, dove la questione della regola vissuta da Cassiodoro diventa terreno di scontro tra filologia, memoria e appartenenza.





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