Sant'Alfonso Maria de’ Liguori: il miracolo di Catanzaro

Fu uno dei due miracoli riconosciuti dalla Chiesa per l'accertamento della santità del noto vescovo e dottore della Chiesa. La cerimonia di canonizzazione fu celebrata da Papa Gregorio XVI  il 26 maggio 1839.
 
Domenico Condito

Il 21 dicembre 1815, festa di San Tommaso Apostolo, Papa Pio VII, dopo aver celebrato il Santo Sacrificio nel suo Palazzo del Quirinale, emanò il decreto Tuto procedi posse ad Beatificationem Venerabilis Servi Alphonsi Mariae de Ligorio. Con questo documento veniva autorizzata la cerimonia di beatificazione del già Venerabile Sant’Alfonso Maria de Liguori, e ne fu rilasciato il Breve apostolico. La celebrazione avvenne nella Basilica di San Pietro con grande solennità, ed universale esultanza, il 15 settembre 1816. 
 
Dopo questa solenne proclamazione crebbe la fama di santità e la devozione verso il novello Beato. A Catanzaro, i Liguorini avevano già eretto una sede della Congregazione del Santissimo Redentore, e sull’altare era esposta un’immagine del fondatore, il Beato Alfonso M. de Liguori. E fu proprio a Catanzaro che nel mese di agosto del 1817 si verificò uno dei due miracoli riconosciuti dalla Chiesa, che portarono alla canonizzazione del Beato Alfonso. 
 
All’epoca dei fatti, che riporto molto brevemente, a Catanzaro era stata appena celebrata, per la prima volta, la festa del Beato. La signora Antonia Tarzia, una giovane madre di 22 anni, che lavorava col marito nei campi, stava trasportando un sacco di grano di 124 libbre al piano superiore della casa, salendo per una traballante scala di legno. Giunta all’ultimo gradino, la donna vacillò per il grande peso, e ne fu scaraventata a terra, riportando ferite gravissime al torace e all’addome e la frattura del femore. Accorsero in suo aiuto la madre, il marito e altre persone. Il medico constatò la presenza di lesioni interne da schiacciamento al torace e all’addome, che compromettevano pesantemente le funzioni vitali. La donna, inoltre, aveva perso il latte, e non era più in grado di nutrire il proprio bambino. Dopo le cure dei primi giorni, trascorsi tra dolori lancinanti, sopraggiunse anche la cancrena. Il medico giudicò Antonia in fine di vita, e l’ammonì perché si confessasse e ricevesse l’augustissimo Sacramento prima di morire. E così avvenne. 
 
Intanto, giunse in casa una giovane ragazza di nome Caterina, che consegnò ad Antonia un poco di bambagia infusa nell’olio della lampada che ardeva davanti all’immagine del Beato Alfonso, nella chiesa dei Liguorini di Catanzaro. Caterina esortò Antonia ad affidarsi al beato Alfonso, ed ella acconsentì. 
Durante la notte, quando ormai agonizzava e aveva ricevuto l’Estrema Unzione, avvolto da una luce soprannaturale che inondava tutta la stanza, le apparve il beato Alfonso, vestito in abiti episcopali, con mitra e pastorale. “Ecco l’uomo santo viene a me”, esclamò la morente, e chiese subito una candela da offrire al santo vescovo. Questi le chiese di riporre il cero e le diede la trina benedizione episcopale, prima di scomparire. All’istante la poveretta si alzò dal letto, chiese del cibo, prese in braccio il proprio bambino e lo allattò. Era guarita. 
 
Nell'immagine che segue si riporta la deposizione in dialetto catanzarese di Antonella Tarzia, messa agli atti del processo di canonizzazione, e la sua trascrizione in italiano effettuata sotto giuramento da Gaetano Licastro, e anch’essa depositata agli atti del medesimo processo. Ho ricostruito l’intera vicenda attingendo alla vasta documentazione dell’epoca. Spero un giorno di poter presentare il mio studio a Catanzaro.
 

 

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